A poche ore dalla partita di Udine il pensiero ridondante nella mia mente (e immagino anche in quelle di molti tifosi nerazzurri) era più o meno questo: “che Inter vedremo dopo ciò che è successo nella partita contro la Juve?”. Questo dilemma saltava a piè pari tutti i possibili dubbi generati dalla nuova guida tecnica dei friulani, dai numeri impietosi racimolati in trasferta negli ultimi mesi e persino le questioni tecnico-tattiche che tanto affascinano i tifosi. Spesso e volentieri, in questi ultimi sette anni, abbiamo subito cocenti delusioni (per evitare di definirle in altro modo) e la reazione era stata quella di lasciarsi trasportare dagli eventi cadendo in balia di una corrente che ci portava alla deriva fiaccati nella mente e nel fisico.
IL LAVORO MENTALE SUL GRUPPO
Neanche le abilità taumaturgiche di Luciano Spalletti ci avevano privato della consueta e puntuale crisi di risultati e di prestazione. Tuttavia, il tecnico di Certaldo non ha mai mollato. Si è avvalso di varie tecniche psicologiche per riuscire a pungolare il gruppo e far leva sull’amor proprio dei suoi ragazzi. Spalletti, contrariamente ai suoi predecessori, è riuscito persino a uscire dalla crisi migliorando considerevolmente la consapevolezza e la forza mentale di una rosa da troppi anni avvezza a infilarsi in una spirale negativa e autolesionistica. In soldoni, uscendone più forte. Eppure, quanto successo nella sfida coi bianconeri non era preventivabile, perlomeno non in quel modo. Il problema non era tanto perdere (come poi tristemente accaduto), ma come interpretare e razionalizzare una differente gamma di emozioni nate da una partita giocata egregiamente e persa in quella maniera lì e per cause non riconducibili in toto a quanto lasciato sul campo dai 10 nerazzurri.
UNA REAZIONE CHE PUO’ VALERE MOLTO DI PIU’
La curiosità che da anni nutro sull’aspetto mentale cozzava col timore di vedere alla Dacia Arena una squadra psicologicamente devastata al termine del climax emotivo della sfida della settimana precedente. Invece, in barba a tutti, l’Inter di Udine è stata una squadra che ha spazzato via dubbi, cattivi pensieri e avversari. Spietata, famelica, col giusto atteggiamento mentale fin dal primo minuto. E’ solo un caso che il secondo e terzo goal siano arrivati negli ultimi minuti di una prima frazione dominata in tutti i settori del campo. Il lavoro di Spalletti sulla parte tecnico-tattica era stato, sin lì, rimarchevole, ma la maturità e la forza mentale mostrate in Friuli rappresentano un’eredità inestimabile. Una consapevolezza e una reazione nervosa che valgono anche più dei singoli tre punti (che pure hanno un peso specifico enorme per il conseguimento del nostro obiettivo stagionale). Una risposta positiva che può valere tantissimo anche in ottica futura.
COSA CI LASCERA’ IN DOTE QUESTA STAGIONE?
Si parla tanto di fallimento (sic) qualora l’Inter non dovesse staccare il pass per la prossima Champions League. Tuttavia, nell’arco di questa stagione l’occhio più attento ha potuto cogliere tanti piccoli segnali, disseminati qua e là, che fanno di quest’annata un vero punto di partenza su cui poggiare le stagioni future su tutti i vari livelli societari, a partire da quello tecnico e sportivo. L’Inter che l’anno scorso “mollava” dopo lo sfortunato pareggio di Torino coi granata potrebbe tramutarsi in un pallido ricordo da chiudere nel cassetto e da usare all’occorrenza come monito. Se l’eventuale partecipazione alla Champions 2018/19 avrà ripercussioni soprattutto economiche, esistono innumerevoli aspetti positivi anche a obiettivo fallito. I numeri (a cui molti si fermano), la solidità difensiva su cui ci siamo potuti costantemente appoggiare, la rivalutazione tecnica della rosa, essere finalmente squadra (intesa come un gruppo dove tutti si rema verso la stessa direzione). Quest’ultimi sono alcuni dei tanti aspetti positivi da tenere in conto quando si giudica la stagione dell’Inter 2017/18. Il lavoro di Spalletti non sarà giudicato di pancia, ma valutato in un percorso che vede il suo picco immediatamente successivo al brusco calo (di cui ha responsabilità molto relative perché ereditate), e ancora in corsa a due giornate dal termine con una squadra pressoché eguale a quella dell’anno precedente se non per tre innesti, di cui attualmente solo uno di proprietà.
REBIRTH, UN NUOVO INIZIO?
Per anni abbiamo sentito e letto di anno zero. Una speranza autoimposta più che una certezza suffragata da fatti concreti e razionali. Al contrario, indipendentemente da come terminerà questa stagione, le percezioni e i numeri concordano: questo è/sarà l’anno uno. La crescita dell’Inter di Spalletti è chiara e inequivocabile ed è doveroso continuare il progetto tecnico e sportivo con l’allenatore toscano. Nella speranza che dalle ceneri emotive sia risorta una fenice a tinte nerazzurre, magari anche un po’ spennacchiata sul capo, con la missione di condurci verso un nuovo inizio dove tornare a essere semplicemente ciò che siamo nati per essere: l’Inter.