Il calcio è uno sport intriso di passione, competizione e strategia, e in questa danza di abilità e determinazione, emergono figure che incarnano l’eccellenza e l’ingegnosità tattica.
Tra queste figure, spicca indubbiamente Simone Inzaghi: da giocatore a tecnico, Inzaghi ha attraversato molte tappe della sua carriera, ma è con la sua esperienza sulla panchina dell’Inter che ha raggiunto l’apice del suo percorso professionale.

L’inizio di un viaggio: la trasformazione da giocatore ad allenatore

Appesi gli scarpini al chiodo nel 2010, Inzaghi ha intrapreso un nuovo capitolo della sua vita nel calcio, grazie ad una intuizione di Claudio Lotito, patron della Lazio, che decise di trasformare l’ultimo anno di contratto dell’Inzaghi calciatore, in un triennale in veste da allenatore.

Dopo aver allenato tutte le formazioni giovanili della Lazio fino alla Primavera (con cui vince due Coppe Italia e una Supercoppa), Inzaghi si siede sulla panchina della prima squadra il 3 aprile del 2016 per la partita contro il Palermo, al posto dell’appena esonerato Stefano Pioli che, per un beffardo gioco del destino, diventerà il suo rivale a Milano, come tecnico dei cugini rossoneri.

La crescita come allenatore: la guida della Lazio e i primi successi

Con una combinazione di strategia, disciplina e motivazione, Inzaghi ha portato la Lazio a raggiungere risultati significativi: durante il suo mandato, infatti, i biancocelesti hanno raggiunto la finale di Coppa Italia, ha spesso frequentato i vertici alti della classifica di serie A e ha gettato le basi per quello che ormai è diventato il suo credo calcistico: il 3-5-2.

Il trasferimento all’Inter: il battesimo del fuoco alla Scala del Calcio

Nel 2021, Inzaghi ha preso una decisione cruciale per la sua carriera, accettando l’offerta di diventare l’allenatore dell’Inter, e di succedere a quell’Antonio Conte che era stato capace di raggiungere una finale di Europa League e di vincere uno Scudetto dopo diversi anni.

Lo scetticismo regnava nell’aria, il sentore diffuso era che che Conte fosse andato via perché l’Inter era in fase di smobilitazione, con un club fortemente indebitato e una proprietà traballante, incerta, disinteressata al destino nerazzurro e lontana anche geograficamente: tutti fattori che avrebbero fatto tremare i polsi a chiunque, specie ad un mister alla prima, vera, grande occasione della sua carriera.

Inzaghi no: antidivo, pacato, schivo, riservato, quasi allergico ai riflettori della ribalta, ha accettato di sedere sulla panchina nerazzurra con entusiasmo ma senza roboanti dichiarazioni e grossi proclami.

Fin dai suoi primi giorni alla guida dell’Inter, il tecnico piacentino ha lavorato instancabilmente per plasmare la squadra secondo la sua visione: lavoro, duro lavoro, interminabili sedute tattiche per far assimilare anche ai nuovi arrivati il suo credo calcistico e uno spirito sempre allegro e gioviale, per far percepire al gruppo che fosse uno di loro.

Il 2023: l’anno della svolta

Nervi saldi e abnegazione. Anche quando – tra la fine di febbraio e i primi di marzo 2023 – dopo una serie di sconfitte in campionato molti chiedevano l’esonero di Inzaghi, giudicato dai più come inadatto a gestire le fasi di crisi, quando invece occorrono nervi saldi per non perdere il bandolo della matassa, giudicato incapace sulla gestione dei cambi all’interno del match e poco adatto ad invertire la rotta in caso di tempesta.

Fedele al suo aplomb, il tecnico piacentino non si è mai scomposto, ha accettato di danzare sotto la pioggia, confidando che l’impegno profuso in allenamento avrebbe condotto la truppa verso il sereno: è con la doppia sfida contro il Porto valevole per gli ottavi di Champions che il sole spunta all’orizzonte, e il doppio confronto con i lusitani diventa la slidin door della stagione.

L’inter vince in casa per 1-0 e, nel match di ritorno, con una partita accorta ma non rinunciataria, porta a casa la qualificazione per il turno successivo: nella testa dei nerazzurri sembra scattato un qualcosa di magico, da quel momento la stagione nerazzurra si trasforma in una cavalcata europea che porta alla doppia vittoria nel derby contro i cugini rossoneri e giunge ad Instanbul per la finalissima contro il City di Pep Guardiola.

I pronostici erano tutti per gli inglesi, convinti di schiacciare l’Inter con una larga vittoria, ma, proprio nella finale di Champions, Inzaghi e i suoi uomini hanno mostrato all’Europa intera che il credo calcistico inzaghiano era ormai una solida realtà: i nerazzurri hanno dominato, infatti, per larghi tratti il match e hanno rischiato, per ben due volte, sempre con Lukaku, di pareggiare e superare il City nel punteggio, come ammesso dallo stesso Guardiola recentemente in conferenza stampa.

Tutta Europa aveva preso contezza che Inzaghi, il suo 3-5-2 e la sua Inter meritavano un posto al tavolo dei grandi.

Il Cammino verso lo Scudetto 2024: una cavalcata inesorabile

Tuttavia la stagione 2023/2024 non si apre nel migliore dei modi: sin dalle battute di calciomercato, infatti, l’Inter si vede costretta a rinunciare ad alcuni pezzi da 90, come Skriniar, volato in Francia, Lukaku, rientrato al Chelsea per fine prestito e Brozovic, l’anima del centrocampo nerazzurro.

Cessioni che avrebbero fiaccato chiunque, non Inzaghi: conscio di un mercato da affrontare con un budget ridotto all’osso, ha insistito per la riconferma di Acerbi e De Vrij, suoi fedelissimi già nella difesa della Lazio, ha inventato Chalanoglu regista arretrato, consegnandogli le chiavi della squadra e ha accettato di affiancare a Lautaro quel Marcus Thuram che arrivava dalla Bundesliga con una grandissima incognita sulla tenuta fisica, essendo reduce dalla rottura del legamento crociato del ginocchio.

Il mister, da ottimo aziendalista, senza accennare alla minima polemica, sin dal primo giorno di ritiro ha lavorato sulla testa della squadra, rinvigorendo e riportando a galla quella consapevolezza acquisita nel cammino europeo della stagione precedente.

Sin dall’inizio della stagione, infatti, la squadra ha dimostrato una determinazione implacabile e una coesione senza pari, spinta dall’energia e dalla visione di Inzaghi, capace di trarre il massimo da ogni giocatore e di integrarlo in un sistema di gioco che mette in risalto il successo collettivo.

L’Inter diventa così una squadra che non solo vince, ma è bella da vedere, a tratti irresistibile, come quando San Siro si esalta sull’ennesima ripartenza mandata giù a memoria: i giocatori, tutti, che corrono e si muovono anche senza palla, i passaggi delle punte per le sgroppate dei laterali, le sventagliate panoramiche di Chalanoglu, i gol da quinto a quinto, i braccetti di difesa sempre pericolosi in area.

Tutti i singoli, grazie al lavoro certosino di Inzaghi hanno compiuto uno step verso l’alto: Thuram è diventato una punta spietata, Di Marco un esterno da Nazionale, Niccolò Barella da intemperante e a volte troppo polemico è diventato un leader, Matteo Darmian da “semplice” comprimario è forse il manifesto dell’Inter inzaghiana, per come si è saputo reinventare terzo di difesa, pericoloso ad attaccare la porta, ma sempre attento a ripiegare all’indietro e roccioso in fase difensiva.

Il Giorno della Gloria: 22 aprile 2024

Il 22 aprile 2024 resterà impresso nella storia dell’Inter e nel cuore dei suoi tifosi come il giorno della gloria: in una partita carica di tensione e emozioni, l’Inter ha affrontato il suo rivale più acerrimo, quel Milan ferito dall’eliminazione in Europa League e determinato a far saltare la festa nerazzurra.

Sì, perché in caso di successo interista, avrebbe significato conquistare matematicamente il tricolore, nel derby cittadino e proprio a discapito di quel Milan secondo in campionato ma in doppia cifra di distanza.

Quasi a coronamento di un cerchio, il gol del vantaggio nerazzurro arriva proprio dalla capocciata di Acerbi, il fedele colonnello di mister Inzaghi, dopo uno schema da corner provato e riprovato dal mister nella rifinitura mattutina ed eseguito alla perfezione in gara.

Il resto del match è un piacevole scorrere dei minuti, addolciti dal raddoppio di Thuram, un altro grande protagonistra della cavalcata tricolore e conditi da un pizzico di pathos dopo il momentaneo 1-2 messo a segno da Tomori.

Il Milan viene contenuto nel suo tentativo di rimonta e così, al triplice fischio, si scatena la festa nerazzura, per la conquista del ventesimo scudetto che significa seconda stella e per il tecnico piacentino il coronamento di un triennio di duro lavoro, durante il quale non sono mancati i successi (due volte la Coppa Italia e tre la Supercoppa italiana), ma il tricolore sembrava sempre sfuggire per qualche piccolo incidente di percorso, colmato dalla pazienza, dall’intelligenza e dal duro lavoro quotidiano con staff e giocatori, messo in opera da Mister Inzaghi, l’antidivo vincente.

Articolo a cura di Enzo Falasca 

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