Ieri giornata di degustazione dedicata al nabbiolo presso un evento organizzato qui a Roma. C’erano cantine prevalentemente piemontesi e valdostane con qualche outsider.
Oltre al nebbiolo c’era anche qualche proposta bianca e altre uve piemontesi (ruchè, dolcetto e barbera su tutti).
I tre vini che mi hanno sorpreso di più:
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Nero di Rozzano Monferrato doc Nebbiolo superiore.
Un Barolo a tutti gli effetti e con tutti i crismi che si chiedono ad un vino del genere. Affinamento di tre anni in botti di rovere. Bouquet incredibile in cui spicca la mora e la brace spenta. Alla bocca avvolgente, caldo e persistente. Non può per ovvi motivi portare il nome del barolo o del barbaresco perché prodotto in un comune non facente parte della denominazione, ma è di quella famiglia lì.
Online sul loro sito si trova a 20€. È una piccola azienda. Li vale assolutamente tutti.
Menzione speciale anche per la loro linea di Barbera e per il loro Ruchè.
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Nebbiolo Lunas di Muscazega. Nebbiolo sì, ma sardo.
Piacevolissima scoperta questo simil barbaresco con 18 mesi di affinamento di cui 15 in barrique. La tostatura che probabilmente gli viene data dal legno gli conferisce piacevolissime note terziarie di cenere e sigaro, distinguibili sia al naso che all’assaggio. È un nebbiolo che ha una sua identità precisa e che si sa distinguere dalla massa.
Prezzo anche qui nell’ordine dei 20€. Non serve che aggiunga altro.
Menzione speciale anche per il loro nebbiolo base, il Disizu, sicuramente meno appariscente ma molto buono.
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Passiamo ai bianchi con lo Chardonnay di Cascina Carrà.
La signora che me lo ha presentato e con cui ho scambiato due piacevoli chiacchiere mi ha spiegato che questo chardonnay diversi anni fa non attraeva molto la clientela. Era uno chardonnay come tanti altri.
Poi l’intuizione di dargli un quid in più. L’utilizzo del legno (barrique) parte già dalla fermentazione, compresa la malolattica e prosegue anche durante l’affinamento.
Vino molto complesso e strutturato, ma allo stesso tempo fresco, buona acidità e burroso al punto giusto.
Quello che ho appuntato di questo assaggio, e che ricordo ancora bene, è il sentore (positivo) di formaggio stagionato in cantina che emanava dal bicchiere e che poi ho ritrovato piacevolissimo e incredibilmente ordinato all’assaggio, insieme a note pronunciate di miele, noci e pasticceria.
La particolarità anche in questo caso è che abbiamo uno vino che si discosta completamente dagli schemi predeterminati del vitigno che lo ha partorito, diventando un amico che può accompagnarti in una degustazione di abbinamenti più insoliti.
Di assaggi ne ho fatti parecchi. C’erano piu di 50 etichette e purtroppo non ho potuto provarle tutte.
Un po’ deluso dai nebbioli del Roero.
Piacevole menzione per il Ruchè Oltrevalle di Bosco: bellissimo bouquet floreale e tanto frutto. Più che valida alternativa all’ormai tanto decantato montalbera.
Molto equilibrato ed elegante il barolo 2015 di Pio Cesare.
Avvolgente e complesso il Barolo cru parafada di Palladino. Più pronto e diretto invece quello dei vari assemblaggi di nebbiolo del comune di Serralunga d’Alba.
Divertimento 10/10