L’inter 1997/98 fu un accecante giocattolo partorito dalla mente di un miliardario con la passione per i colori nerazzurri. Una squadra che nei suoi tratti iconici è stata anche pionieristica nel rapporto che poi il calcio avrebbe instaurato con la televisione e la riconoscibilità dei suoi protagonisti. Fu un maestoso Luna Park capace di avvicinare tantissimi della mia generazione a quello sport e il tifo per la beneamata, e generare una diffusa simpatia da parte di tutti gli sportivi d’italia.

 

Quello che caratterizzava quella squadra, e che per l’appunto la faceva apparire così futuristica nella sua appetibilità televisiva, era la positività dei suoi protagonisti. C’era il calciatore più forte e più sorridente del mondo (Ronaldo), c’era il simpatico pazzo dalle trecce colorate (Taribo West), il genietto eccentrico uruguayano (Recoba), il portiere latin lover della riviera romagnola (Pagliuca), lo “zio” (Bergomi) della nazione come capitano, l’ala l’italiana (Moriero) pronta a lucidare le scarpe dei campioni che l’Inter aveva in attacco. A guida di quella squadra in panchina c’era l’indimenticabile Gigi Simoni.

Se n’è andato a modo suo: da signore

Simoni si è spento nella giornata di oggi, curiosamente la stessa del ricordo dei dieci anni del triplete, dopo un anno di lotta. Ma anche nel giorno della sua scomparsa, se n’è andato da signore. Sì, perchè ci ha lasciato festeggiare il decennale per qualche ora, senza disturbarci, a modo suo, per poi spegnersi in punta di piedi. Ricordato da tutto il mondo sportivo con grande trasporto, l’allenatore era la chiusura ideale di quel disegno a cui si è accennato sopra. Con quell’aria fraterna di nonno che avremo voluto tutti, Simoni era il buono per definizione e rappresentava un prolungamento naturale della signorilità con cui Moratti aveva forgiato la sua Inter. In questo senso è sorprendente guardare le foto ancora oggi e pensare quanto il nerazzurro gli stava bene. Un’inattaccabilità morale che, davanti al celebre rigore di Juliano, portò gran parte del paese a pensare: “Se perfino Simoni invade il campo in quella maniera, questi devono aver proprio passato il limite”.

14esimo scudetto e Coppa Uefa

Ma Simoni non è solo quel rigore non dato a Ronaldo sui cui veniva tristemente intervistato ogni anno. Un po’ perché, almeno per noi interisti, quello scudetto lo ha vinto e questo lo rende il primo allenatore scudettato dell’era Moratti. Perché se gli altri possono tranquillamente esibire nello stadio dei campionati revocati, noi allora possiamo dirlo tranquillamente che Gigi è l’uomo del quattordicesimo scudetto. Perché se lo scudetto 2005-06 assegnato a tavolino all’Inter è un risarcimento, il primo a doverlo incassare è senza dubbio Simoni per quell’anno, in fondo, calcisticamente perfetto.

Ma è stato anche l’allenatore di quella Coppa Uefa, che sembrava l’inizio di un trionfale seguirsi di trofei del nuovo corso Morattiano, mentre rimase lì per quasi un decennio come unica coppa alzata, a dimostrazione di quanto poco banale fosse vincerla e quanto buono fosse il suo lavoro. È stato anche l’allenatore capace di tirar fuori il meglio da tantissimi giocatori, Ronaldo, naturalmente, che con Simoni vinse il suo primo pallone d’oro e giocò il suo calcio migliore. Gigi gli costruì attorno la squadra che viveva e si nutriva della sua luce. Ma anche Moriero, Taribo West, Ze Elias, Galante. Tutti giocatori che sotto il tecnico hanno vissuto la loro stagione migliore per distacco. Con un materiale umano indiscutibilmente inferiore a quello delle Inter a seguire ottenne molti più risultati di suoi colleghi più prestigiosi che si avvicindarono in panchina negli anni.

Simbolo di un calcio che non esiste più, sia nell’antiquato 3 4 1 2 che proponeva, ma soprattutto nei gesti, nelle parole e nei modi, Simoni non si prestò mai al gioco al massacro nei confronti dell’Inter di Moratti (nonostante un esonero discutibile) che nei decenni scorsi tanto piaceva alla stampa. Non volle mai scalfire nemmeno per un istante il ricordo magico che lui aveva dell’Inter e che l’Inter aveva di lui. Ha sempre preferito una pacata gentilezza, come cifra stilistica. Tanto che perfino davanti al furto più grande della storia del calcio italiano non smise mai di dare del lei al suo interlocutore: “si vergogni”. Indimenticabile Gigi.

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Anti-juventino militante, impiegato ex-pubblicista, padre, marito ed interista da quando a dodici anni lo portarono a San Siro a vedere la semifinale di Coppa Uefa vinta 3-1 contro il Monaco.